VIA FRANCIGENA/BRINDISI-LECCE

Sulle tracce di crociati e pellegrini fra le meraviglie bizantine

Il sentiero vicino al bosco di Cerano

Al cospetto delle Colonne Romane (km 0), il delizioso e accogliente porto di Brindisi la dice lunga su quanto questa città sia stata nella storia antica e recente snodo di traffici e di cammini. Quelle colonne (di una è rimasta solo la base, è ormai da qualche secolo nella piazza centrale di Lecce a sorreggere Sant’Oronzo) indicano il termine della Via Appia. E da qui parte la Via Francigena del Salento, un itinerario che attraversa tutto il sud della Puglia fino a Santa Maria di Leuca. Questa, da Brindisi a Lecce, è la prima tappa, ce ne sono altre due: Lecce-Otranto e Otranto-Leuca.

Si entra nel centro storico di Brindisi, toccando Palazzo Granafei Nervegna (km 0,7) dall’elegante stile rinascimentale con i sontuosi balconi barocchi. Se si vuole attraversare la soglia d’ingresso, si può ammirare il bel restauro che ha permesso di trasformarlo in un bel contenitore culturale.

Si tocca poi Piazza Duomo (km 0,9), dove si affacciano oltre alla basilica il Seminario e il Museo Archeologico, il cuore pulsante della città antica. Ancora stradine del borgo e si sbuca davanti al tempietto di San Giovanni al Sepolcro (km 1,4), e al solo sguardo si respira subito aria di crociati e normanni: il tempietto (oggi sconsacrato) racconta la storia della Prima Crociata con Boemondo d’Altavilla, principe di Taranto, che volle questa chiesetta di ritorno dalla Terra Santa. Nel silenzio riecheggiano le avventure dei Templari che da qui passavano per andare verso Oriente, confidando nella benedizione divina per le loro avventure. 

L’uscita da Brindisi è un passaggio obbligato attraverso le brutture di una periferia che condivide il paesaggio con la zona industriale dominata dal Petrolchimico, che per fortuna resta a debita distanza. Si esce dalla via provinciale per Lecce, fino quasi a raggiungere la tangenziale. In questi tratti mancano le frecce gialle e la segnaletica verticale, o comunque sono insufficienti a segnare chiaramente la via, per orientarsi è bene seguire la traccia gps (ma questa è una raccomandazione che vale per l’intero percorso perché la segnaletica, ahinoi, spesso è “volatile”). 

Inizia così il viaggio in direzione sud attraversando per alcuni chilometri strade secondarie e stradine dal sapore di periferia per poi arrivare fra i carciofeti in una campagna assai poco abitata. I segni dell’uomo tornano di prepotenza quando in direzione mare si staglia il “mostro” industriale del Salento: la centrale a carbone di Cerano (km 14). È la ciminiera, alta duecento metri, a incutere turbamento, specialmente quando rilascia i fumi più scuri. Questa è la seconda più grande centrale termoelettrica d’Italia e una delle più grandi d’Europa, che incombe sulla salute dei salentini.

È bene guardarla appena, la centrale, e rivolgere lo sguardo altrove perché la natura del Salento, anche qui, a pochi passi da quell’invadente impianto industriale, sa riservare sorprese. Si pedala in un breve tunnel verde, con il fondo ricavato in un banco di roccia e così si aprono le porte su una deliziosa valle in cui si alternano lecci, abeti, canne e vigneti, come se qualche sapiente mano avesse congegnato questa originale scenografia di verde. Si va avanti tra la vegetazione rigogliosa, nella quale ci si fa largo a fatica in alcuni periodi dell’anno, sbucando in un’ampia radura costeggiata da un piccolo querceto a sinistra, una pineta sulla destra e da canneti, con al centro un bel vigneto antico. 

Si torna sull’asfalto ma solo per poco, si supera il canale da un piccolo ponte e si svolta a sinistra imboccando un piccolo sentiero che corre lungo il canale con i suoi floridi canneti. È un single track poco battuto: anche qui la vegetazione spontanea quasi “ingoia” i viaggiatori. Si sfiora la provinciale 87 per fare una sorta di inversione a U, tornando indietro. Seguendo il sentiero, più largo ma sempre sterrato, delimitato da staccionate in legno, si attraversa il bosco di Cerano (km 18): è un polmone di verde di 126 ettari, la gran parte piccole querce. È quel che resta di un’area di foresta e macchia selvaggia che anticamente ricopriva gran parte della costa. È un piccolo fazzoletto di terra, attraversato da un corso d’acqua, oggi classificato come Riserva Naturale Orientata Regionale. Si pedala all’ombra del bosco per circa cinquecento metri.

Quando si esce, si imbocca una bella strada sterrata, larga e ben curata, con muretti a secco e staccionata di legno che la delimitano. La si percorre per poche centinaia di metri fino a Masseria Maime, cuore della tenuta di Tormaresca (km 18,7), del gruppo Antinori, ben 500 ettari fra bosco, seminativo e soprattutto vigneti (circa la metà dell’estensione). La masseria ha al suo centro una piccola cappella, che presto sarà ristrutturata ma che anche così conserva il suo fascino di chiesetta di campagna.

Si esce dalla masseria e si riprende la strada, larga ma ancora sterrata. Si attraversano uliveti e terre coltivate, ancora qualche vigna, poi un rettilineo di circa un chilometro corre fra gli ulivi e, dopo circa tre chilometri di strada asfaltata, improvvisamente si fa un lungo salto indietro nel tempo. Le rovine annunciate dalla cartellonistica turistica aprono le porte a uno dei più importanti siti archeologici del Salento: siamo a Valesio (km 24), villaggio abitato dai Messapi fin dall’VIII secolo avanti Cristo, poi ancora dai Greci e dai Romani, centro fiorente di commerci e scambi, fino a quando il normanno Guglielmo il Malo non lo distrusse nel 1157. Degli antichi fasti di Valesio restano solo rovine, una sensazione accentuata dallo stato di abbandono del sito, su cui pure sono state compiute importanti campagne di scavo. Restano ben visibili le tracce delle antiche mura (lunghe ben tre chilometri) e del cuore del villaggio, dove spiccano i resti delle terme romane. 

Si segue la traccia per circa due chilometri pedalando in un mare di ordinati uliveti. Proseguendo sempre dritti si entra a Torchiarolo (km 26,5). Il paese, con i suoi circa cinquemila abitanti, si conferma molto sensibile all’accoglienza, e non solo per la puntuale segnaletica che indica il cammino. Qui le istituzioni locali e le associazioni puntano sulla vocazione all’accoglienza dei salentini e per questo aprono le porte ai “viandanti della fede”.

Si esce da Torchiarolo costeggiando il cimitero e per quasi un chilometro e mezzo la stradina è asfaltata, poi inizia lo sterrato, in una distesa di ulivi. Un altro chilometro abbondante e si deve attraversare la provinciale Squinzano-Casalabate, e siamo già in provincia di Lecce. Quando si incontra un incrocio a T, si svolta a sinistra e dopo un chilometro ecco Masseria Alcaini (km 33,1), qui si svolta a destra proseguendo su una bella strada sterrata, ornata di macchia mediterranea. 

Ed ecco il gioiello dell’Abbazia di Cerrate (km 34,6). È un viaggio nel Salento bizantino l’incontro con questo scrigno di storia del Mezzogiorno, uno splendido esempio di architettura romanica pugliese, voluto dal normanno Boemondo d’Altavilla. Quando si varca il portale d’ingresso, l’armonia del cortile lascia immaginare la laboriosità che albergava in questo luogo, ideale per ispirare preghiera e meditazione, in cui trovarono riparo i monaci sfuggiti alle persecuzioni iconoclaste di Bisanzio. È la chiesa, oggi riaperta al culto dopo anni di abbandono, a riservare le maggiori sorprese con i suoi affreschi bizantini del XII e XIII secolo. Dal 2012 l’abbazia è gestita dal Fai che ne ha fatto uno dei luoghi di punta dell’associazione nel Mezzogiorno d’Italia. 

Si prosegue imboccando un bel sentiero sterrato, di fronte all’ingresso dell’abbazia e per poco più di un chilometro si pedala su un verde single track in un fresco tunnel di macchia mediterranea e lecci, quindi si svolta a destra e si va avanti per un altro chilometro, quando sulla sinistra ecco un piccolo spettacolo della natura del Salento: dietro i classici muretti a secco si staglia un grande uliveto secolare (km 36,6), forse proprio lo stesso che qui coltivarono i monaci basiliani di Cerrate. 

Le distese di ulivi, alternate ai campi spesso incolti e preda della macchia mediterranea, accompagnano il viaggio per altri sette chilometri di stradine secondarie asfaltate fino alle porte di Surbo (km 42,8), una vera enclave nel territorio del Comune di Lecce, annunciata da un parco eolico che sfoggia le sue pale bianche. L’aumentare della presenza di rifiuti, purtroppo, segna l’avvicinarsi a un’area più densamente abitata, anche se qui ancora a dominare sono uliveti e pascoli. Si entra in paese imboccando via del Mare e si va sempre dritti fino a quando non si arriva al cospetto della chiesa di Santa Maria del Popolo (km 43,7), accanto alla quale una fontanina dell’Acquedotto Pugliese, anche in estate dispensa acqua fresca. 

 

Per continuare, è preferibile lasciare la traccia ufficiale del cammino della Francigena che segue un percorso particolarmente pericoloso per i ciclisti, una strada stretta e molto trafficata che peraltro attraversa un grande centro commerciale e costeggia la superstrada Lecce-Brindisi, offrendo un paesaggio urbano abbastanza compromesso. Meglio allungare un poco, ignorando fino a Lecce le frecce gialle.

Dal centro di Surbo si esce imboccando via D’Aurìo, una provinciale che si percorre per poco più di un chilometro fino a quando, a un bivio si imbocca la stradina a sinistra, svoltando ancora a sinistra. Poche centinaia di metri e sulla destra si presenta la Chiesetta di Santa Maria d’Aurìo (km 46,3), anche questa come Cerrate legata alla presenza dei Normanni nel Salento. Se degli affreschi originari non rimangono che vaghe tracce (peraltro non è facile trovare la chiesa aperta), ad alimentare la fantasia sono i graffiti incisi nella pietra, come quello all’esterno della chiesetta che ritrae un bastimento pronto a navigare verso Oriente. Poco più in là, dall’altra parte della strada, c’è da vedere anche la Torre dei Cavallari (km 46,3).

Si torna indietro, si attraversa la provinciale e si pedala in direzione di Lecce, sfiorando nuovamente Surbo, in un territorio compromesso dalla presenza di rifiuti, fino a superare, dopo due chilometri, la tangenziale di Lecce grazie a un cavalcavia. Dunque, si prosegue su via San Nicola, costeggiando il carcere, ed entrando a Borgo San Nicola (km 49,9), piccola frazione oramai inglobata nella periferia della città, ma che offre ristoro con la sua fontanina in piazza. Lo si supera e si continua fino a incrociare la superstrada per Brindisi che si attraversa al grande rondò, facendo molta attenzione al traffico intenso.

Una volta dall’altra parte, si prosegue fino all’ingresso monumentale del Cimitero. E qui conviene varcare questa soglia per andare a vedere la Chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo (km 52). Sono ancora i Normanni la pietra miliare della storia di questo luogo: fu Tancredi d’Altavilla nel 1180 a far costruire questa chiesa con annesso convento. Di quell’epoca rimane il favoloso portale romanico con i suoi ricami di pietra, incastonato nell’esuberante facciata barocca con i suoi deliziosi ghirigori. Bisogna varcarne la soglia per perdersi fra sculture di pietra (fra cui una bellissima sirena su una delle colonne), decorazioni, volte affrescate e statue di santi. E non è ancora finita: grazie alle guide del Fai (che hanno in adozione il bene), dalla sagrestia si apre la porta che dà l’accesso al Chiostro degli Olivetani (km 52), oggi di pertinenza dell’Università del Salento, dove, in un’aura di raccoglimento che ispira alla meditazione, spicca uno straordinario pozzo con le sue colonne tortili riccamente scolpite e un baldacchino che quando si staglia sul cielo azzurro mette in risalto le piccole grandi meraviglie della pietra leccese.  

Tornati indietro, si prosegue verso il centro, toccando l’Obelisco (km 52,6) ed entrando da Porta Napoli (km 52,8), monumentale accesso alla città storica, per imboccare sulla destra via Palmieri. Alla fine della strada, appena attraversato corso Vittorio Emanuele, un ingresso tutto sommato sobrio apre le porte alla scenografica Piazza Duomo (km 53,2), ovvero il trionfo del barocco leccese, tra il Campanile, la Cattedrale, il Palazzo Vescovile e l’antico Seminario che sembrano definire un concentrato di bellezza, nella pietra dai colori cangianti a secondo della luce del sole che la investe.

Si riprende corso Vittorio Emanuele, ancora poche centinaia di metri nel cuore della città barocca ed ecco piazza Sant’Oronzo (km 53,6), con il suo marciapiede ovale al centro che sembra quasi voler proteggere e custodire il mosaico dello stemma della città. Dall’alto dei suoi 29 metri, il patrono Sant’Oronzo con la mano protesa benedice leccesi e viaggiatori, di ieri e di oggi.

info tecniche

Percorso:
in linea, segnato con frecce gialle

Punto di partenza:
Brindisi

Punto di arrivo:
Lecce

Lunghezza:
km 53,6

Dislivello:
+248/-201

Strada:
asfalto (60 per cento) e sterrato (40 per cento)

Paesi interessati:
Brindisi, Torchiarolo, Surbo, Lecce

Difficoltà: media

Bici consigliate:
Trekking, Gravel, Mountain Bike

Tempo di percorrenza:
4/5 ore

Itinerario proposto da:
salento.bike

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